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FinTech e innovazione finanziaria: opportunità e vincoli


La seconda indagine di Banca d’Italia sugli investimenti FinTech effettuati nel sistema finanziario italiano mette in evidenza  aspetti di continuità ma anche di cambiamento rispetto alla precedente rilevazione  del  2017. Parallelismi e parziali conferme anche rispetto ai risultati dell’Osservatorio AIFIn/MarketLab “Innovazione finanziaria e Fintech” 2017-2019.

Nel periodo 2017-2020 gli investimenti FinTech nel sistema finanziario italiano ammontano a 624 milioni di euro, dei quali 233 spesi nel biennio 2017-2018 e 391 previsti in quello successivo. Questi i numeri principali della seconda indagine conoscitiva di Banca d’Italia sul Fintech a cui ha partecipato 82% di un campione di 165 intermediari finanziari.


Rispetto all’indagine del 2017 pur crescendo il numero degli intermediari investitori, passato da 51 a 77 unità, il fenomeno, in termini quantitativi, resta concentrato: il 61,9 per cento degli investimenti fa capo a cinque operatori e poco più dei tre quarti a dieci. L’investimento complessivo medio per intermediario durante il quadriennio, pari a circa 7,5 milioni di euro, è influenzato da alcuni investimenti di importo molto rilevante; l’importo mediano, circa 13 volte inferiore, è pari a 565 mila euro.


Al sistema bancario è riconducibile l’80,5 per cento degli investimenti rilevati nel quadriennio; seguono gli IMEL (9,9 per cento), gli IP (5,3 per cento) e le società finanziarie (3,9 per cento). SIM ed SGR insieme non arrivano all’uno per cento della spesa.
Gli intermediari che non hanno effettuato investimenti nel biennio 2017-2018 né prevedono di effettuarli in quello successivo sono 57 e rappresentano, in termini di attivo, poco più del 7 per cento del campione.


La tipologia di investimenti FinTech e le aree progettuali


Banca d’Italia ha rilevato 267 progetti, il cui importo medio è pari a 2,3 milioni di euro ma analogamente a quanto riscontrato per gli investimenti complessivi, la mediana ha un importo, ben inferiore alla media, ed è pari a 250 mila euro.
La classificazione per tipologia di tecnologia prevalente rileva che oltre la metà della spesa è stata destinata alla realizzazione delle API (52 per cento); risorse significative sono, inoltre, impiegate nei progetti per lo sfruttamento dei Big data (16,2 per cento) e nelle “Tecnologie per l’integrazione” (15,2 per cento); su scala ancora apprezzabile, ma nettamente inferiore, il Cloud computing (4,8), i Robot (3,5) e l’AI (3,0).


Tali risultati confermano quanto aveva già rilevato in termini di previsione  l’”Osservatorio “Innovazione Finanziaria e FinTech” AIFIn/MarketLab del 2017, indagine che dal 2006 analizza la capacità di innovazione nel settore bancario, assicurativo e finanziario attraverso interviste ad un Executive Panel e che proprio dal 2017 ha una speciale sezione dedicata al FinTech oltre a quelle previste dagli Osservatori Innovazione verticali (Robo Advisor, P2P Lending, ecc.)
Nella rilevazione dell’Osservatorio 2017 si prevedeva, infatti, un impatto elevato e a brevissimo termine (entro l’anno) del FinTech nel business dei pagamenti; mentre nell’arco temporale da 1-3 anni nel data management, assicurazione auto e infrastruttura tecnologica. A medio termine (3-5 anni) era previsto l’impatto sul numero maggiore di aree di business o operative. Chiaramente questa previsione avrebbe influenzato anche le decisioni sugli investimenti tecnologici negli anni successivi e le aree di collaborazione con le FinTech.


La collaborazione con le FinTech e rischi


Banca d’Italia rileva che gli investimenti in cooperazione con imprese FinTech e istituzioni ammontano a circa 93 milioni di euro, pari a circa il 14 per cento del totale degli investimenti complessivi. La modalità di collaborazione più frequente è la partnership, non di rado in combinazione con incubatori, acceleratori e distretti oppure con l’acquisizione di partecipazioni di imprese FinTech.


L’Osservatorio AIFIn/MarketLab del 2017 evidenziava come, sugli approcci collaborativi tra Fintech e incumbent, l’ Executive Panel considerava prevalenti due opzioni opposte: la partnership commerciale co-branding e quella di “fornitori” di piattaforme tecnologiche. Nell’ Osservatorio 2019 solo il 24% dei rispondenti dichiara che la propria istituzione finanziaria ha avviato una collaborazione con una Fintech, per un altro 19% ci sono accordi in via di implementazione, mentre per il 30% sono ancora in corso attività di studio e analisi. C’è circa un 27% inoltre che dichiara che non ci sono iniziative in corso o che la propria azienda non intende intraprenderle.


Sul fronte dei rischi l’indagine Banca d’Italia sottolinea che secondo le stime degli intermediari, gli investimenti dovrebbero lasciare in prevalenza invariati i rischi strategici, quelli di credito e di mercato. I maggiori effetti sono, invece, attesi per i rischi operativi, sebbene il segno della variazione non sia univoco. La riduzione degli errori operativi derivanti dalla crescente automazione dei processi e l’irrobustimento dei controlli su frodi e violazioni di normative potrebbe migliorare i profili legali e reputazionali degli intermediari. Per converso, i progetti fondati sulla collaborazione con società terze o sviluppati in outsourcing, potrebbero accrescere i rischi legali nel caso di controversie non sufficientemente disciplinate dai contratti tra i diversi operatori coinvolti nell’erogazione di un servizio FinTech. L’outsourcing dell’impianto informatico potrebbe, inoltre, indurre una riduzione della capacità degli intermediari di esercitare un efficace controllo sulla qualità dei servizi resi e sul livello di sicurezza garantito dalle società affidatarie.


Anche in questo caso emergono convergenze con quanto emerso nell’Osservatorio AIFIn/MarketLab del 2017. Per il 60% dei manager intervistati il Fintech rappresentava più un opportunità che un rischio. Nel 2019  i manager che percepiscono più l’opportunità che il rischio scendono al 46% mentre crescono quelli che vedono in ugual misura sia rischi che opportunità (49%). Solo il 5% percepische più rischi che opportunità.
L’Osservatorio 2017 tuttavia sottolineava  come, nella collaborazione soprattutto con le start-up,  l’ integrazione/l’ esternalizzazione di una parte dei processi o di aree di business degli incumbent, sviluppata con vari obiettivi (dall’ adozione di nuove tecnologie e/o servizi, alla riduzione dei costi, al Business Process Outsourcing, ecc.), avrebbe richiesto un’ attenta valutazione del modello organizzativo, delle capacità operative/SLA, di scalabilità e di “essere compliant” delle Fintech. Tali valutazioni venivano suggerite come fondamentali per selezionare gli operatori con i quali sviluppare partnership. La fase più critica di questi progetti infatti è il passaggio dalla “sperimentazione”, all’”industrializzazione dei relativi servizi”. L'Osservatorio evidenziava la necessità di un maggior presidio  sulla responsabilità dei rischi, soprattutto legati all’utilizzo dei dati, lungo la catena del valore e nel relativo “ecosistema”.


Gli ostacoli al FinTech e all’innovazione


Dall'indagine di Banca d'Italia, i principali ostacoli alla realizzazione degli investimenti FinTech derivano, secondo gli intermediari, dalla scarsa sostenibilità degli investimenti (30 per cento) e dalle difficoltà nel rendere interoperabili vecchi e nuovi sistemi informatici (il problema dei sistemi “legacy”, 23 per cento). Il difficile reperimento di personale qualificato, i rischi per la sicurezza informatica e, infine, l’incertezza sull’evoluzione del quadro regolamentare (evidenziata da 10 intermediari ma ritenuta prioritaria soltanto da uno) costituirebbero fattori secondari. Infine, 4 intermediari considerano FinTech non strategico per il proprio modello di business e 2 lo ritengono addirittura incompatibile.


L’Osservatorio AIFIn/MarketLab invece rileva le barriere più in generale all’innovazione (e non solo quelle legate agli investimenti in FinTech). In ogni caso tra le barriere, nella ricerca del 2019,  al primo posto troviamo comunque i vincoli tecnologici/infrastrutturali e, al quinto posto, un approccio "solo" tecnologico/digital all’innovazione. In questi ultimi anni la percezione sulle barriere normative/regolamentari ha perso posizioni; tuttavia tra i principali rischi strategici legati all'evoluzione dell'ambiente esterno troviamo proprio la regolamentazione, insieme alla disintemediazione e alla concorrenza.

E’ maturata anche  in Italia, come già avvenuto in altri paesi (es. UK), la consapevolezza della necessità di regolamentare il fenomeno FinTech ma di farlo in modo graduale e proporzionale (Sandbox) per consentirne lo sviluppo, evitando di innalzare troppe barriere all’entrata. L’attesa dell’Executive Panel era (ed è) tuttavia di proporzionalità ed equità negli obblighi di compliance con l’auspicio che non ci siano “distorsioni di mercato” (soprattutto a favore delle BigTech). Si tratta quindi di una sfida difficile e complessa anche per lo stesso legislatore/regolatore che dovrà trovare un giusto equilibrio tra rischio di obsolescenza normativa e una regolamentazione preventiva di fenomeni di mercato non ancora chiari e maturi.


Impatti organizzativi


Banca d’Italia sottolinea che la portata degli investimenti FinTech può dunque rendere necessario un ripensamento organizzativo, che può concretizzarsi, nei casi più semplici, nella costituzione di team trasversali e multidisciplinari o di divisioni dedicate all’innovazione ovvero, in quelli più complessi, nell’istituzione di Chief Innovation Officer o di una apposita business line.
Poco più di un quinto degli intermediari ha istituito un’unità aziendale con funzioni di coordinamento delle tematiche FinTech; i restanti intermediari si sono limitati ad assegnare deleghe in materia di innovazione e coordinamento all’Organizzazione o alla funzione IT e, più raramente, alle Direzioni Generali e Commerciali.


L’Osservatorio AIFIn/MarketLab sin dal 2006 rileva, con un perimetro più ampio, le modalità organizzative di gestione dell’innovazione nelle istituzioni finanziarie non solo legati agli investimenti in tecnologia.
Nell’ultima rilevazione del 2019 circa l'88% dell’Executive Panel ritiene necessaria la presenza di una funzione organizzativa con responsabilità sull’innovazione (e non solo sul FinTech). Circa il 67% considera specificatamente utile l’introduzione della figura del Chief Innovation Officer. Tuttavia dalle interviste in profondità al Top Management non mancano  i dubbi sull’efficacia di questa soluzione e soprattutto sul perimetro di responsabilità di questa nuova figura all’interno dell’organizzazione.


Impatti sul modelli di business
L’indagine di Banca d’Italia evidenzia come i progetti di investimento FinTech siano classificabili in funzione della capacità di innovare funzioni e processi. Il livello minimo, di pura trasformazione digitale, può essere attribuito ai progetti che si limitano a rendere più efficienti processi e funzioni (semplificando e riducendo le operazioni manuali, velocizzando le attività). Livelli crescenti di impatto possono essere attribuiti ai progetti che si pongono come obiettivo lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi finanziari, l’innovazione dei circuiti di distribuzione di prodotti e servizi tradizionali, la trasformazione radicale di un processo.
I progetti sono stati classificati in 4 gruppi indicativi dell’impatto sul modello di business. Il primo livello, che lascia inalterato il modello di business e include i progetti che non apportano innovazioni radicali, si osserva nel 6,4 per cento dei casi; il secondo, collocabile nella fascia minima di cambiamento, prevede il conseguimento di un solo obiettivo, tra sviluppo di nuovi prodotti o servizi, nuovi canali distributivi e revisione di processi, e riguarda il 54,3 per cento dei progetti; nella fascia media (due obiettivi) si colloca il 34,3 per cento dei progetti. Infine, il 5,2 per cento dei progetti si colloca nella fascia di massimo impatto (tre obiettivi).
Lo sbilanciamento del numero di progetti verso le API, rileva Banca d’Italia, dipende da fattori di contesto, quali l’introduzione dell’Open Banking e l’adeguamento rispetto alle previsioni della Direttiva PSD2, che hanno creato i presupposti per la realizzazione di alcuni progetti di ampio respiro e di importo consistente. In questo senso le API dimostrano di essere una tecnologia capace di incentivare forme di collaborazione e competizione tra operatori ben oltre il perimetro dei servizi di pagamento.


L’Osservatorio AIFIn/MarketLab rileva e analizza in modo più ampio il concetto di innovazione (non solo tecnologica) nel settore bancario, assicurativo e finanziaria e la sua classificazione per categorie.
Tuttavia dal report del 2019 emerge come principale  obiettivo dell’innovazione  proprio quello di creare un modello “open” e di collaborazione con l’ecosistema (anche se l'Executive Panel indica per questo obiettivo il principale gap tra execution e visione).
In ogni caso da alcuni anni l’Osservatorio AIFIn/MarketLab evidenzia il limite (e il rischio) di “schiacciare” troppo il concetto di innovazione su Digital/FinTech e stimola i manager del settore ad immaginare una nuova declinazione del concetto di innovazione di lungo periodo (definito F+) anche in funzione di una nuova “ondata” di innovazione tecnologica.
 
La redazione di FinancialInnovation.it