Rischi strategici, modelli di business e Fin(Big)Tech: perché è necessaria una Governance dell’innovazione finanziaria - FinancialInnovation.it
Rischi strategici

Rischi strategici, modelli di business e Fin(Big)Tech: perché è necessaria una Governance dell’innovazione finanziaria


Sergio Spaccavento, CEO, MarketLab 

Scenario “darwiniano” per il settore bancario, assicurativo e finanziario?1

Nella recente storia economica sono ormai diversi i casi, anche eclatanti, di aziende un tempo leader che sono state miopi di fronte alla portata e alla velocità dei cambiamenti avvenuti nel loro macro e/o micro ambiente e che non hanno saputo innovare, in tempo utile,  finendo  poi  per  scomparire dal mercato: Blockbuster, Nokia e Polaroid sono spesso i casi più citati. Quale lezione l’industria bancaria, assicurativa e finanziaria può imparare da questi “case history”?

In quasi tutti i settori oggi, ormai anche quelli più protetti e regolamentati, le aziende vivono una fase di profonda “discontinuità”, legata soprattutto ad uno sviluppo tecnologico continuo ed esponenziale (si parla di “singolarità” tecnologica) che genera una turbolenza senza precedenti nei mercati. La capacità non solo di analizzare correttamente l’ evoluzione delle tecnologie, ma anche di comprenderne le potenzialità di adozione e i relativi tempi sia da parte dell’ offerta che della domanda di mercato, risulta sempre più determinante nelle scelte strategiche.

A questo si aggiungono numerosi altri macrotrend (si pensi ai cambiamenti nei processi di acquisto e consumo legati all’ e-commerce e alla sharing economy, alla caduta delle barriere all’ ingresso in alcuni mercati per effetto dell’ evoluzione normativa, ecc.) che rendono il contesto ambientale sempre più “liquido” e “open”, dove “il cambiamento è l’ unica cosa permanente e l’ incertezza è l’ unica certezza” (cit. Zygmunt Bauman). Quasi profeticamente nel 1994 Bill Gates dichiarava “Banking is necessary. Banks are not”: sembrerebbe che oggi ci siano tutte le condizioni perché tale visione possa avverarsi non solo nell’ industria bancaria in senso stretto.

In questo scenario aumentano in modo esponenziale i rischi, soprattutto per gli incumbent, e chiaramente le opportunità, soprattutto per i new entrant, e si moltiplicano le relative opzioni strategiche rendendo sempre più incerta la definizione di una strategia lineare. Se da un lato il fattore tempo nelle scelte strategiche e la velocità di execution diventano sempre più decisivi, dall’ altro lato la flessibilità e la capacità di adattamento risultano ugualmente importanti. Facendo un parallelismo non troppo lontano con la teoria darwiniana (già citata in un nostro articolo “La sostenibilità dei modelli di business delle banche commerciali e il ruolo dell'innovazione” - n. 2 Marketing e Finanza – 2013), chi tra gli incumbent non saprà adattarsi al nuovo contesto ambientale e competitivo rischia di “sparire” dal mercato mentre nuove “specie” di “istituzioni finanziarie” si affermeranno.

Che tale visione non sia più oggi uno scenario estremo e poco probabile emerge in modo evidente da alcune recenti dichiarazioni di diversi rappresentanti di organi di vigilanza a livello internazionale e italiano (BCE, EIOPA, Banca d’ Italia, Ivass, Consob, ecc.) riportate nel nostro Osservatorio. Questi ultimi richiamano all’ abbandono delle “sicurezze del passato” in relazione “ai grandi cambiamenti in corso”, all’ evidenza della ridefinizione dei “confini competitivi” e della “concorrenza continua”, al perseguimento della “necessaria redditività”, alla consapevolezza che i modelli di business di “domani” (forse non molto lontano) saranno diversi da quelli di oggi, alla necessità di avere una “visione di lungo termine” e, infine, di “innovare”.

Vision, analisi di scenario e la relativa capacità previsionale, non solo quantitativa, diventeranno competenze sempre più importanti per il top management del settore, nella consapevolezza che non ci sarà un unico futuro ma molteplici futuri possibili, dati i fattori chiave ritenuti rilevanti, le assunzioni strategiche e l’ orizzonte temporale scelti.

Tale capacità non può tuttavia limitarsi ad una presa di coscienza dei macrotrend ma deve implicare una profonda analisi del proprio business model per poterne stimare i possibili impatti e definire strategie sostenibili di lungo periodo.

 

Rischi strategici e sostenibilità dei modelli di business: il ruolo dell’ innovazione

L’ attenzione al tema dei rischi strategici nel settore bancario, assicurativo e finanziario è quindi crescente nella ormai certezza che la scelta dei business model avrà un effetto fondamentale sulle performance future.

Un indicatore significativo in tale senso e un trend di vigilanza, che potrebbe estendersi a tutte le altre tipologie di istituzioni finanziarie, è l’ introduzione da parte della BCE della Business Model Analysis (BMA) come componente rilevante nella metodologia SREP (Supervisory Review and Evaluation Process).

La BMA è finalizzata all’ analisi della sostenibilità futura delle banche e della capacità di generare un rendimento sia nel breve (12 mesi – viability) sia nel medio-lungo termine (sustainability). Ponendosi come obiettivo quello di identificare le debolezze che potrebbero minare la redditività prospettica e le fonti di potenziale vulnerabilità, l’ analisi ha un ruolo fondamentale per indirizzare gli altri pilastri del processo per poi arrivare a determinare il profilo di rischio di ciascun istituto di credito e definire quindi i relativi requisiti di capitale (oltre ad altre misure) differenziati per cluster di business model (nella metodologia sono previste 4 categorie in funzione della dimensione degli intermediari, struttura organizzativa, estensione territoriale, complessità delle attività e rischiosità).

Chiaramente la BMA risente della prospettiva e della finalità del Regulator e di un approccio prevalentemente statistico-quantitativo ed induttivo. In tale prospettiva, pur ponendosi in una logica “forward looking”, i cluster identificati rappresentano una “fotografia ad oggi” delle scelte strategiche passate e le relative variazioni degli indicatori quantitativi, in periodi relativamente brevi, colgono solo in parte le probabili migrazioni tra gli stessi ma soprattutto non evidenziano le possibili evoluzioni e i relativi driver di differenziazione. Cambi di strategia e di business model richiedono un adeguato “tempo” per essere implementate (soprattutto per gli incumbent) e per riuscire a cambiare significativamente il profilo competitivo ed economico - finanziario.

Sempre nell’ ottica di stimolare una riflessione sulla relazione tra innovazione e regolamentazione, che ricordiamo essere quest’ ultima considerata dagli stessi manager non solo come un importante driver di cambiamento ma anche come la principale barriera all’ innovazione stessa, sarà interessante osservare nel prossimo futuro come saranno decodificati gli stimoli da parte delle autorità di vigilanza sull’ evoluzione dei business model. Tali indicazioni non dovrebbero comunque essere interpretate nè dalla vigilanza nè dai vigilati come prescrittive poiché potrebbero condizionare in modo eccessivo le dinamiche del mercato, la concorrenza e soprattutto le scelte strategiche che devono restare in capo alle singole istituzioni finanziarie.

Dato lo scenario e vista l’ attenzione dei regulator al tema c’ è da chiedersi quindi quale sia la sensibilità oggi dei manager del settore ai rischi strategici. Nel nostro Osservatorio solo la metà del campione dei manager intervistati (47,5%) ritiene rilevanti tali rischi per gli impatti che potrebbero avere sulla sostenibilità dei modelli di business: dalla riduzione dei ricavi nei mercati tradizionali (ad esempio nel credito per le banche e in quello “auto” per le compagnie di assicurazione); dai tassi bassi agli NPL; dall’ assorbimento di capitale, che condiziona le scelte strategiche su alcune aree di business, ai costi di adeguamento normativo; dalla necessaria revisione del modello distributivo al fenomeno Fintech, ecc.

Nelle interviste al top management è emersa in modo evidente anche la consapevolezza sulla numerosità dei “temi in agenda” e su come sia sempre più difficile essere competitivi in tutti i business senza un’ adeguata capacità di investimento (soprattutto tecnologica).

Il tema della selezione degli obiettivi e delle priorità è stato indicato come rilevante, così come anche quello del necessario aumento della “dimensione” aziendale, che potrebbe essere comunque insufficiente nel lungo termine senza una revisione dei business model.

In tale prospettiva, come abbiamo rilevato nell’ Osservatorio AIFIn/MarketLab “CSR - Sustainability Strategy”, l’ evoluzione dei BM del settore, per essere sostenibile, oltre al necessario perseguimento della redditività dovrà generare sempre più valore condiviso per tutti gli stakeholder.

 

Tra Fintech e Fin(Big)Tech: F+

Il 2017 è stato l’ anno di numerose consultazioni e position paper sul tema Fintech da parte di diversi attori istituzionali: Financial Stability Board, Commissione Europea, EBA, BCE, ecc. Anche in Italia sono state svolte iniziative consultive da parte di Banca d’ Italia, Consob, MEF, Commissioni Parlamentari e Antitrust. In tutti questi lavori sono stati evidenziati i rischi e le opportunità legati al Fintech, gli impatti potenziali per il settore e le possibili implicazioni e gli sviluppi della normativa. La dimensione del fenomeno stesso non può che richiedere ormai una regolamentazione internazionale, quantomeno europea, che sappia, in modo equilibrato, garantire le esigenze di stabilità del sistema finanziario, di protezione della clientela, di tutela di adeguati livelli di concorrenza nel mercato, favorendo anche lo sviluppo delle start-up nel settore.

L’ orizzonte temporale a disposizione non è lungo, anzi è piuttosto breve rispetto ai tempi di produzione e applicazione normativa su scala europea e dovrebbe aprire una seria riflessione sul rapporto tra velocità dei cambiamenti di mercato e modelli di regolamentazione per evitare una continua obsolescenza normativa o potenziali effetti distorsivi sul mercato e/o tra operatori.

Per l’ Executive Panel i tempi entro i quali il Fintech genererà impatti significativi sul mercato sono in media di 3 anni e mezzo e per alcuni business (es. pagamenti retail e assicurazioni auto) anche inferiori ad un anno.

In ogni caso circa il 66% dei manager intervistati concorda sul fatto che il fenomeno rappresenti più un’ opportunità che un rischio per l’ industria evidenziandone il ruolo fondamentale a supporto dell’ innovazione in una logica soprattutto collaborativa. In tale prospettiva le nuove “specie” di “istituzioni finanziarie” risulterebbero, grazie a tecnologie sempre più evolute (AI, IOT, Robo, ecc.) e Big Data, più efficienti ed efficaci, capaci di generare nuove soluzioni e nuovo valore.

Per fare un parallelismo in una logica “evolutiva” con le previsioni dei “Future Studies” e con le teorie del transumanesimo (H+), in futuro potremmo immaginare, anche grazie alle collaborazioni con le Fintech, un nuovo modo “potenziato” di far banca, assicurazione e finanza, (che con un’ analogia potremmo chiamare F+), purchè siano rispettati principi etici e sostenibili.

Sugli approcci collaborativi tra Fintech e incumbent nei prossimi anni sarà interessante osservare le strategie e le modalità con le quali si svilupperanno. L’ Executive Panel considera come prevalenti due opzioni opposte: la partnership commerciale co-branding e quella di “fornitori” di piattaforme tecnologiche. Le implicazioni di business, e non solo, sono molto diverse e, come emerso già nell’ Osservatorio dello scorso anno, l’ ownership del cliente e dei relativi dati sarà l’ aspetto più critico nella gestione di queste partnership.

La disintermediazione è infatti il principale rischio percepito dai manager intervistati.

In ogni caso è utile evidenziare che l’ integrazione/l’ esternalizzazione di una parte dei processi o di aree di business per gli incumbent, per qualsiasi obiettivo venga fatta (dall’ adozione di nuove tecnologie e/o servizi, alla riduzione dei costi, al Business Process Outsourcing, ecc.), richiederà un’ attenta valutazione del modello organizzativo, delle capacità operative/SLA, di scalabilità e di “essere compliant” delle Fintech. Tali valutazioni saranno fondamentali per selezionare le start up con le quali sviluppare partnership. Una cosa, infatti, sono le “sperimentazioni”, un’ altra l’ industrializzazione dei relativi servizi.

La consapevolezza che lungo la catena del valore e nel relativo “ecosistema” si possa perdere il presidio sulla responsabilità dei rischi, soprattutto legati all’ utilizzo dei Big Data, è evidente agli organi di vigilanza.

Ma il Fintech non è solo start-up. In termini di rischi strategici per gli incumbent è alta anche l’ attenzione all’ ingresso delle Big Tech nel settore. Per il 63,3% dei manager intervistati in realtà tali operatori sono già entrati in specifiche aree di business e/o “pezzi” della value chain (ad esempio Apple Pay, Amazon Lending, ecc.).

Una nostra recente ricerca di mercato (“Social banking and insurance” – Maggio 2017) ha verificato l’ interesse dichiarato dalla clientela retail all’ acquisto di prodotti bancari e assicurativi (pagamenti, investimento/risparmio, credito, assicurazione auto, assicurazione danni) offerti da parte dei cosiddetti GAFA (Google, Apple, Facebook e Amazon). Fermo restando che le percentuali variano significativamente per le diverse combinazioni di prodotti e operatori, segnaliamo un solo dato come esemplificativo delle potenzialità del fenomeno: “solo” il 43,5% degli intervistati dichiara che “non comprerebbe” nessun prodotto bancario, assicurativo e finanziario da Amazon. Si tratta chiaramente di un “dichiarato”, ma sarà interessante nel prossimo futuro analizzare la “fiducia” che tali operatori sapranno conquistare rispetto agli incumbent, elemento fondamentale per poter stimare le potenzialità di penetrazione di mercato da parte degli stessi.

 

Priorità ed evoluzione del concetto d’ innovazione: oltre il Digital

Dato lo scenario delineato il top management intervistato ritiene quasi unanimemente che l’ innovazione sia una priorità strategica. Nella survey abbiamo anche verificato la priorità data all’ innovazione stessa rispetto all’ orizzonte temporale. Ormai anche a brevissimo termine (entro 1 anno) per il 23% dei manager l’ innovazione è la prima priorità aziendale e per un altro 46% una delle prime tre priorità.

La digitalizzazione rappresenta ancora la keyword che sintetizza principalmente il concetto di innovazione nel settore. Probabilmente lo sarà ancora per diversi anni in funzione del percorso e della velocità del processo di trasformazione digitale in atto nell’ industria bancaria, assicurativa e finanziaria.

L’ analisi dei progetti evidenzia come la digitalizzazione sia ormai trasversale. Particolari evidenze quest’ anno si sono avute: nel miglioramento dell’ efficacia dei processi commerciali sia per la vendita online sia per supportare con adeguate piattaforme digitali le reti di consulenti bancari e assicurativi; negli advanced analytics per meglio profilare la clientela; nelle campagne di marketing operativo e di comunicazione digitale; e nei prodotti (di pagamento, risparmio, di credito e assicurativi). Di particolare interesse sono i nuovi servizi che si basano sulla capacità di sfruttare i dati disponibili (“Big Data”) per condividere informazioni a valore aggiunto per il cliente/utente. Anche quando i progetti riguardano servizi complessi (welfare, immobiliare, ecc.) la presenza di piattaforme digitali di supporto o di comunicazione rappresenta un elemento essenziale.

È ormai evidente che l’ App sarà sempre più un canale fondamentale nei nuovi modelli distributivi e di servizio al crescere della rilevanza delle strategie “Mobile First”.

Nei progetti analizzati quest’ anno abbiamo potuto anche apprezzare sia nuove start-up (nei pagamenti e nel crowdfunding) sia esperienze collaborative nello sviluppo di nuovi prodotti/servizi tra banche/compagnie assicurative e Fintech (nel credito e nell’ instant insurance).

Il settore dovrebbe, tuttavia, iniziare a pensare strategicamente oltre il Digital con obiettivi più ambiziosi.

Gli obiettivi dell’ innovazione indicati dall’ Executive Panel possono essere un’ utile cartina di tornasole in tal senso: se l’ innovazione di valore per il cliente resta, come negli anni precedenti, fermamente al primo posto per il 70% circa degli intervistati, seguita dall’ innovazione di prodotto/servizio, il cambiamento nei modelli di business è solo all’ undicesimo.

Nonostante la consapevolezza dei potenziali rischi strategici nel settore, l’ innovazione sembra ancora avere una visione e un approccio “modulare” e non “architetturale”. La tecnologia di per sè non può essere considerata “disruptive” se non consente di cambiare in modo significativo i modelli di business e creare vantaggi competitivi

 

Governance dell’ innovazione: perchè è prioritaria

Il tema della Governance dell’ innovazione è stato affrontato sin dall’ Osservatorio AIFIn del 2006 in cui era stata inserita per la prima volta una specifica domanda per verificare la presenza nelle aziende del settore di una struttura organizzativa con responsabilità sulla gestione e sul coordinamento dell’ innovazione.

Nello scenario sopra delineato dichiarare l’ innovazione prioritaria, ma non collegarla alla strategia aziendale e soprattutto non gestirla con adeguati modelli organizzativi, competenze, risorse, ecc., rappresenta un ulteriore potenziale rischio strategico che potrebbe avere effetti sull’ obsolescenza dei business model e/o su un errato design ed implementazione degli stessi.

Da qualche anno sono presenti in modo formalizzato nell’ organizzazione di qualche grande banca e compagnia di assicurazione strutture dedicate all’ innovazione.

Il posizionamento delle stesse negli organigrammi, la tipologia e il nome assegnato alla struttura e al responsabile (Chief Innovation Officer, Chief Digital & Innovation, Chief Marketing & Innovation, Chief IT Digital Innovation, Chief Strategy & Innovation, ecc.), il profilo, le esperienze e le competenze di quest’ ultimo, la dimensione dell’ unità e la sua sotto-organizzazione, le risorse e il budget disponibili, ecc. sono tutti indicatori di quali siano realmente le priorità e gli obiettivi dati all’ innovazione nelle varie aziende.

Nell’ Osservatorio dello scorso anno l’ 88% dell’ Executive Panel riteneva utile l’ introduzione di una funzione con responsabilità specifica e a diretto riporto del CEO per migliorare la capacità di innovazione. Tra le possibili opzioni organizzative l’ introduzione di un Chief Innovation Officer (CINO) era stata quella maggiormente preferita dai manager. Nell’ Osservatorio di quest’ anno è stata verificata in modo esplicito e diretto l’ utilità percepita dell’ introduzione della figura del CINO: “solo” il 73% dei manager ha concordato con tale soluzione.

L’ introduzione di questo profilo/struttura nell’ organizzazione, in effetti, non manca di suscitare qualche perplessità come emerso sia nelle interviste in profondità al top management che nella survey: conflittualità, isolamento, sovrapposizioni, ecc. sono solo alcune delle criticità evidenziate. Tali rischi percepiti possono tuttavia essere in parte dovuti ad una non chiara definizione del ruolo e funzione del CINO. In ogni caso non è solo l’ inserimento di un responsabile dell’ innovazione o l’ adozione di qualche metodologia, pur utile (agile, design thinking, ecc.), a migliorare strutturalmente ed in modo significativo la capacità di innovazione.

È utile ricordare che un’ efficace governance dell’ innovazione richiede interventi a vari livelli: strategico, organizzativo, di processo, di strumenti, hr e di cultura aziendale. Ogni singola istituzione finanziaria dovrà definire il proprio modello e il percorso ottimale per migliorare la propria capacità di innovazione.

Tuttavia una vera Governance dell’ innovazione non può che partire dal coinvolgimento degli Organi sociali ed in particolare del CdA e del CEO: chi dovrà prendere importanti decisioni strategiche dovrà anche avere chiaro il concetto, il ruolo e gli obiettivi dell’ innovazione.

Nella survey l’ aspettativa dei manager del settore sul livello di sensibilità/commitment e sul ruolo nella governance dell’ innovazione del top management è risultata molto alta ad indicare che senza un loro effettivo coinvolgimento e un’ adeguata cultura sull’ innovazione anche negli organi sociali l’ innovazione difficilmente potrà avere un ruolo strategico.2

 

 

Sergio Spaccavento - Fondatore e Presidente di AIFIn – Associazione Italiana Financial Innovation e CEO di MarketLab – Financial Marketing & Research - istituto di ricerca e società di consulenza strategica specializzata in innovazione nel settore bancario, assicurativo e finanziario. Direttore di AIFIn Academy e dell'Executive Master AIFIn in "Strategy, Innovation & Fintech". Direttore Responsabile della rivista "Marketing e Finanza". È Adjunct Professor in "Financial Innovation & Fintech" presso il MIBE dell’Università di Pavia. Ha pubblicato diversi articoli sui temi di strategia, marketing e innovazione nel settore bancario, assicurativo e finanziario.

 

 

 

 

 

Note

1Nella quattordicesima edizione dell’Osservatorio AIFIn/MarketLab “Innovazione finanziaria e Fintech”, presentato durante l’annuale Convegno “Financial Innovation Day” 2018, oltre a rilevare, come nei precedenti  anni,  il “sentiment” sul tema da parte dei manager del settore bancario, assicurativo e finanziario, abbiamo focalizzato la ricerca sulla percezione dei rischi strategici per l’industria, sull’evoluzione dei modelli di business, sul fenomeno  Fintech e sulle modalità organizzative nella gestione dell’innovazione.

La metodologia dell’Osservatorio ha previsto, oltre ad una desk research, una  fase qualitativa con  interviste in profondità a 12 Top Manager del settore (5 Presidenti e 7 AD/DG) seguita da una survey su un Executive Panel a cui hanno partecipato 101 manager appartenenti a 69 istituzioni finanziarie. Sono stati inoltre analizzati 95 progetti candidati come innovativi al premio AIFIn “Financial Innovation - Italian Award”.

2  L’articolo pubblicato sulla rivista “Marketing e Finanza”- 1/2018